sabato 3 dicembre 2011 0 commenti

Il piccolo popolo di Terry Pratchett


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Il piccolo popolo dei grandi magazzini (Truckers 1989), Il piccolo popolo all’aria aperta (Diggers -1990), Il piccolo popolo decolla (Wings -1990) Sono i libri che compongono la cosiddetta Trilogia dei niomi (The Nome Trilogy o, negli Usa, The Bromeliad Trilogy) scritta dal fantasioso Terry Brooks.
I niomi sono un popolo di creature alte non più di 10 cm, che vive con grande difficoltà in un modo troppo grande in cui rischia quotidianamente di morire mangiato da qualche animale oppure schiacciato in pochi attimi. Naturalmente la vita si misura secondo i loro parametri: 10 anni per loro equivalgono ad un secolo e considerano gli umani sono “grossi, lenti e stupidi”.
Un giorno, Masklin, un giovane Niomo, decide di convincere i vecchi brontoloni e gli altri suoi coetanei, a tentare un’impresa davvero tosta: scappare dall’ambiente ostile in cui vivono verso una specie di terra promessa non meglio precisata. Con loro porteranno anche la Cosa, un computer che si rivelerà molto utile in futuro. Il camion su cui fuggono li conduce in un emporio fondato nel 1905 dai fratelli Arnold. Gli niomi, abituati a vivere alla giornata, pensando solo alla sopravvivenza, si troveranno di fronte a due sorprese: prima di tutto non sono soli nell’universo, e poi, nell’emporio, c’è cibo a volontà.
Dentro l’emporio, suddiviso in piani e settori, ci vivono centinaia di Niomi, divisi a loro volta in famiglie di ceto sociale diverso che si contendono il territorio e che prendono il nome dalle zone di appartenenza. Essi credono che la storia dell’Esterno abitato sia solo una leggenda e che il mondo vero sia quello creato da F.lli Arnold (dal 1905), che credono essere un’unica persona. Nell’emporio si prega “Santa Occasionissime”, il tempo viene scandito dai saldi di stagione, il freddo il calore sono determinati dall’aria condizionata, mentre la luce e il buio sono dati chiaramente dalla luce. Gli umani, che ne ignorano la presenza, pensano che nei buchi ci siano i topi e, chissà come mai, portano sempre il proprio nome appiccicato sul petto. Chissà, forse perché altrimenti non ricorderebbero il proprio nome.
Solo due, fra i niomi dell’emporio, credono subito al fatto che ci sia qualcosa all’Esterno: Angalo, un giovane entusiasta appassionato di motori e l’inventore, Dorcas. Ci sono anche dei religiosi, gli unici detentori dell’abilità della lettura, abilità vietata in particolare alle donne, perché le informazioni “surriscalderebbero” la loro mente debole.
Il Vento e la Pioggia erano antiche leggende, per loro. E così venne il Giorno e la Notte. Adesso nel loro mondo c’erano gli annaffiatori automatici e i condizionatori d’aria e la vita breve e veloce dei niomi era scandita dagli orari: d’Apertura e di Chiusura. Le stagioni dell’anno erano i Saldi di Gennaio, la Collezione Primavera, le Grandi Occasioni d’Estate e le Strenne di Natale. Guidati dall’Abate e dai sacerdoti dei Cancellieri, veneravano (in modo educato e tranquillo, senza infastidirlo troppo) F.lli Arnold (dal 1905), creatore di ogni cosa esistente, ossia dell’Emporio e del suo contenuto. Alcun clan di niomi erano diventati ricchi e potenti e avevano preso il nome (più o meno) dal piano reparto dove vivevano: i de Camicieri, i Ferramenta, i Del Icatessen. 
A contatto con l’elettricità, la Cosa, che si scopre essere un computer tramandato per secoli di padre in figlio, usato come talismano e oracolo, finalmente parla e rivela che l’emporio sta per essere demolito.
Così, i niomi sono costretti ad attuare una vera rivoluzione interna: spinti da Masklin e dalla sua innamorata, Grimma, ma appogiati anche dal nuovo Abate Gurder e da Angalo, insegnano a tutti l’arte della lettura, imparano come guidare un camion, ne rubano uno della ditta e fuggono. L’avventura rocambolesca li condurrà ad una cava. La Cosa rivela a Masklin che gli niomi, in realtà, vengono dallo spazio, e che vi devono ritornare.
Così Masklin decide di andare con Gurder e Angaloin Florida, dopo che, un giorno, sulla cava piove un ritaglio di giornale, dove scoprono dell'esistenza di Nipote Richard 39 a., il quale pare stia andando con un Concorde in Florida per vedere la partenza di uno Shuttle. Ai niomi dell’emporio, in particolare a quelli dei ceti sociali più alti, non sta molto bene che tutti sappiano leggere, che tutti possano invadere i confini delle famiglie altolocate, che debbano mangiare addirittura la (poca) carne non confezionata, ma presa da animali morti!E poi, qualcuno inizia a dubitare dell’esistenza di F.lli Arnold (dal 1905).
“E trovare Nipote Richard 39 a.; che dovrebbe essere facile, capisci, perché abbiamo il suo ritratto”
“Sì?” Fece Angalo.
Gurder lo guardò con la superiorità del giusto. “Ricorda il comandamento che F.lli Arnold (dal 1905) ha scritto nell’emporio” disse. “Non ci ha forse raccomandato ‘Se non vedete quello che vi occorre, chiedete pure ’?”
I niomi annuirono. Molti di loro avevano visto il comandamento. E anche gli altri: ‘Tutto deve scomparire’ e, vicino alle scale mobili: ‘Bambini, passeggini e cagnolini vanno tenuti in braccio ’. Parola di F.lli Arnold (dal 1905). Impossibile metterla in discussione…. Ma, d’altra parte, quello era l’Emporio, e questa era la cava.
Tuttavia, una volta partito Masklin, di fronte all’emergenza – gli umani stanno per riaprire la cava – e la fame, gli niomi, guidati da Grimma, decidono di agire. Dapprima cercano di impedire agli umani di entrare nella cava, poi sequestrano un umano, alla fine, aggiustano una Fiat Allis (di cui all’inizio ignorano la natura: “il Drago della Montagna, con gli occhi come enormi occhi, con la voce come un’enorme voce, e denti come enormi denti”) e la guidano lontano dalla cava, non prima di aver dato battaglia agli umani!
La terza parte si concentra sull’avventura degli niomi alla ricerca di un modo che li riporti alla loro Nave spaziale. Arrivano in Florida e lì scopriranno che c’è un altro popolo di niomi, i Floridiani, convinti però che la divinità che ha creato tutto non sia F.lli Arnold (dal 1905) bensì Nasa!Con il loro aiuto, Masklin e i suoi riusciranno a concludere la loro rocambolesca avventura.
La trilogia degli niomi è esilarante.
Credo che Pratchett si distingua nel panorama degli scrittori di generi di fantasia, per il semplice fatto che riesce a creare un universo parallelo dove ci sono tutti gli elementi più insignificanti o comunque facenti parte della nostra quotidianità, rendendoli diversi, unici, esilaranti, pezzi di un mondo pieno di fantasia e immaginazione,un po’ come la scopa che la Strillettera  in Harry Potter. Ad esempio, ogni capitolo si apre con alcuni versi tratta dalla bibbia degli niomi “Il grande libro degli niomi”. Alcuni esempi tratto da Il piccolo popolo decolla:


 AEROPORTO: Un posto dove la gente si affretta e aspetta.
Dall'Enciclopedia Scientifica del Giovane Niomo di Angalo de Haberdasheri.
p.11
UMANI VIAGGIATORI: Creature di grandi dimensioni, simili ai niomi. Molti umani trascorrono molto tempo a viaggiatore di luogo in luogo, cosa abbastanza bizzarra dato che comunque nei luoghi dove vanno ci sono già fin troppi umani.
Vedi anche ANIMALI, INTELLIGENZA, EVOLUZIONE E BUDINO.
Dall'enciclopedia Scientifica del Giovane Niomo di Angalo de Haberdasher
p. 39
ALBERGHI: Posti dove vengono parcheggiati per la notte gli UMANI VIAGGIATORI. Altri umani portano loro cose da mangiare – tra cui il famoso panino con prosciutto e formaggio. Ci sono letti e asciugamani e dei cosi speciali che fanno piovere acqua sulla gente per ripulirla.
Dall'enciclopedia Scientifica del Giovane Niomo di Angalo de Haberdasher
p.53
OCHE: (…) Come mezzo di trasporto, le oche lasciano molto a desiderare.
p.83
SCIENZA: Un modo di scoprire le cose e poi di farle funzionare. La scienza spiega cosa succede intorno a noi. Così fa anche la RELIGIONE, ma la scienza è meglio perché riesce a trovare scuse migliori quando ha torto. C'è molta più scienza di quanto si pensi.
Dall'enciclopedia Scientifica del Giovane Niomo di Angalo de Haberdasheri.
p.117

More about El color de la magiaCredo che questo sia lavoro ancora più complesso che inventare di sana pianta una storia.
Quindi ancora una volta chapeau a Terry Pratchett anzi, a Sir Terence David John Pratchett – che tra l’altro, non sta molto bene perché soffre purtroppo di Alzheimer – che ancora una volta ha scritto una storia magistrale. Se volete ridere senza controllo, leggete questa trilogia.
Io la preferisco a Il tristo mietitore che ho trovato di difficile lettura, non so se dipenda dalla traduzione, ma mi è sembrato un po’ farraginoso, anche se l’idea della morte che va in pensione e si concede qualche giorno di riposo in un ranch, sconvolgendo il mondo dei morti viventi e dei morti è unica.
Il prossimo libro che leggerò di Pratchett, è El color de la Magia (Il colore della magia), che ho trovato in Spagna ad un prezzo davvero stracciato. Spero sia ugualmente bello.
martedì 22 novembre 2011 0 commenti

Così parlò Bellavista

More about Così parlò BellavistaPuò un libro filosofico essere anche esilarante? Sì!

Così parlò Bellavista - Napoli, amore e libertà non è propriamente un libro di filosofia. E’ un libro sulla filosofia napoletana e non intendo i pensatori partenopei ma della gente comune. E’ davvero un libro d’amore, un inno a Napoli che raccoglie i mali, le contraddizioni, ma anche la fantasia, l’estrosità di un popolo davvero curioso che o si ama o si odia.
Napoli per me non è la città di Napoli ma solo una componente dell’animo umano che so di poter trovare in tutte le persone, siano esse napoletane o no. Ciò che io contesto con tutte le mie forze è la conseguenzailità presunta tra “napoletanità” ed ignoranza popolare. In parole povere io mi rifiuto di credere che non sia possibile migliorare le condizioni di vita di n popolo senza dover forzatamente rinunciare ai contenuti umano della sua maniera di essere. A volte penso addirittura che Napoli possa essere ancora l’ultima speranza che resta alla razza umana.
(Luciano de Crescenzo, “Due parole di prefazione” da “Così parlò Bellavista”, p.7)

Il libro è stato scritto nel 1977 ed ha avuto un grande successo. E’ incentrato sui dialoghi fra 'ingegner De Crescenzo, il professor Bellavista, il "vice sostituto portiere" Salvatore, il "poeta" Luigino, il dottor Palluotto e si struttura in due parti:
Il libro insomma, pur potendo essere letto soltanto nei suo capitoli pari o, a secondo dell’impegno messo a disposizione del lettore, anche in quelli dispari si presenta come in pratica come un vecchio testo di geometria dove i teoremi enunciati seguano gli esempi dimostrativi, in modo che gli aneddoti napoletani riportati nei capitoli pari diventino i “come volevasi dimostrare” di certe teorie filosofiche espresse dal professore nei suoi dialoghi sull’amore e sulla libertà.
(ibidem, p. 5)

De Crescenzo poi ne ha tratto un film omonimo, che vi consiglio di guardare, sono semplicemente divertentissimi. Vi lascio con una chicca tratta dal libro e poi, una scena tratta dal film omonimo.

“Insomma ma allora voi di politica non ne capite proprio niente!”dice Salvatore Coppola, vice sostituto portiere “E che avete studiato a fare?”
“Ma che c’entra lo studio” ribatto io […]
“Ma carissimo ingegnere, qua non si tratta di idee politiche, qua bisogna inquadrare il problema dal punto di vista internazionale. Voi dovete farvi capace che tutti noi napoletani dobbiamo forzosamente votare compatti per il Partito Comunista e che, immediatamente dopo, dobbiamo uscire dalla NATO e stringere un patto d’alleanza con la Russia.”
“Ma perché Salvatò” dice Passalacqua “Tu sei convinto che la Russia sia più forte dell’America?”
“Ma a me che me ne importa se è più forte l’America o la Russia, dottò, questo a me non interessa. Andiamo al sodo […]. Dunque, scoppia la terza guerra mondiale, ora se noi ci siamo alleati con l’America, da chi veniamo fatti prigionieri? Dalla Russia, no?Correggetemi se sbaglio. Ebbene io vi dico che noi napoletani i prigionieri in Russia non li possiamo fare. Ma che stiamo scherzando: in “primis”non siamo abituati al clima rigido della Siberia che è freddo, ma freddo veramente, in “secundis” non ci abbiamo l’equipaggio necessario[…]. Ora, diversa è la situazione se invece ci mettiamo con la Russia. E sì perché in questo caso veniamo fatti prigionieri automaticamente dagli americani e mandati subito in America. E là, con l’aiuto di Dio e con un poco di commercio, uno si potrebbe pure imparare la lingua, che poi, da cosa nasce cosa, vuoi vedere che facendo facendo la guerra troviamo pur un bel posto?”
“E se siamo fatti prigionieri dai cinesi?”
“Peggio che andare di notte, dottore mio!Quelli i cinesi mangiano una schifezza. Immaginate cosa passerebbero a noi poveri prigionieri: sì e no una palla di riso al giorno. Aè, E come volete che io, Coppola Salvatore, con la fame che mi ritrovo posso campare con una palla di riso al giorno?”






Ho scoperto che Youtube c'è il film intero spezzato in 7 parti
da qui li trovate tutti http://www.youtube.com/watch?v=eH67U2Shq-A
Secondo me merita. Se vi capitano, vi consiglio anche "32 dicembre"(http://www.youtube.com/watch?v=opLDLfqTCMA) e "Il Mistero Bellavista"(http://www.youtube.com/watch?v=FlxRA7pTvr0) che segue "Così parlò Bellavista".
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Una bottiglia nel mare di Gaza

More about Una bottiglia nel mare di Gaza In questo libro si intrecciano il vecchio e il nuovo. La vecchia bottiglia consegnata alle rive del mare, custodendo una messaggio di speranza e sopravvivenza. La modernità della rete che avvicina due popoli distanti 70 km e una guerra lunga sessant’anni. Le paure ancestrali di un popolo che invecchia e la modernità di un dialogo che rappresenta una speranza sì, vecchia, ma preziosa e destinata a durare nel tempo. 
Una bottiglia nel mare di Gaza, di Valérie Zenatti, ha il pregio di non schierarsi a favore di nessuno, di non scavare nel dramma, di non cercare la pietà. Certo, visto da chi non ama le guerre, sia palestinesi che israeliani appaiono ridicoli, con le loro guerre, con la loro incapacità di trovare una pace. Alla fine ci vuole poco. E’ un libro dolce senza essere smielato, con il grande pregio di voler far vedere un mondo così distante da noi, senza che nessuno salga in cattedra. E si legge d'un soffio, che non è poco.

Voglio ringraziare le mie amiche di Anobii che hanno inventato la "Catena della fiducia", una catena a cui partecipano una decina di noi, ciascuna con un libro, facendo attenzione a introdurre un libro che sia inedito per le altre.  Io ho messo "Maschera bianca" che temo non piacerà molto, ma almeno ha un finale inaspettato - almeno per me! Ecco gli altri:

1."Storia del signor Sommer" Suskind
2. “Mai dire mai ad un Martini Dry” - Aa. Vv.
3. "La casa sull'albero" Bianca Pitzorno 
4. "L'urlo di Paperopoli" Lino Zonin 
5. "La Sovrana Lettrice" di Alan Bennett 
6. "Onde di luce" di Sandra Riato 
7."Nel mare ci sono i coccodrilli" di Fabio Geda
8. "Stagioni" di Mario Rigoni Stern 
9. "La felicità di Emma" di Claudia Schreiber 
venerdì 30 settembre 2011 0 commenti

Collana Inediti d'autore n.29: Falene

More about Falene 
"Falene" di Donato Carrisi

Le storie di miseria in fondo si somigliano un po’ tutte.
Per chi nasce nello schifo, la via più facile sembra lo schifo.
Però, c’è anche chi nasce in un mondo apparentemente pulito, e poi scopre che è tutto uno schifo. Il cuore si spezza e nasce il desiderio di vendetta. Una vendetta in fondo sobria, ma giusta.
Questa è una storia di tre ragazze che si ritrovano nello stesso carcere, diventano amiche e decidono di realizzare un obiettivo.
Donato Carrisi narra con tanta delicatezza, ma senza scendere nel pietismo, come raggiungeranno questo obiettivo. Non c'è nulla di eclatante, ma forse è proprio questa la cosa bella di "Falene": il dramma e la sporcizia di certe vite, è straordinaria solo agli occhi di chi ignora quanto bassa possa essere la realtà.
Ho apprezzato la capacità di presentare i fatti da due punti di vista diversi (del narratore e i una delle protagoniste), in modo da non appiattire il racconto e allo stesso momento, da rendere dirette le emozioni più forti e profonde.
Secondo me “Falene” è il più bello della serie.
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Collana Inediti d'autore nn. 17, 23, 25, 31 e 32

More about Day HospitalDay Hospital (n.25) - Parlare di un tumore con ironia ed una punta di umorismo non è davvero da tutti, tanto più se si è uno scrittore famoso come Valerio Evangelisti.
Ero tentata di lasciarlo non appena ho capito di cosa si trattava, ma la dignità di quest'uomo trasuda da ogni pagina, anche quando racconta le piccole umiliazioni. Per le persone che cercano un messaggio ad ogni costo, posso consigliarlo perché in fondo un messaggio c'è: qualunque cosa brutta vi capiti, che siate soli o circondati di persone compassionevoli e amorevoli, contate sulla vostra forza interiore e siate dignitosi, sempre.Tuttavia, se cercate una testimonianza strappalacrime, non è per voi.

More about La bugiaLa bugia (n. 23) - Non avevo mai letto nulla di Moccia e onestamente mi aspettavo un obrorio, ma tutto sommato non è la fine del mondo. La storia è carina, anche se non orginale, ma lenta e piena di elementi noiosi. Trovo che abbia indugiato eccessivamente su particolari che non servivano - non è necessario farci conoscere la marca di ogni singolo capo di abbigliamento indossato da una che è chiaramente fissta con la moda e la linea - e credo che invece avrebbe fatto bene una migliore descrizione di Stoccolma.
Se si fosse trattato dall'anteprima di un lungo racconto, magari sarebbe stato abbastanza funzonale.
Personalmente non mi è piaciuto lo stile narrativo, questo continuo passato e presente, anche se parlo l'inglese, non ho apprezzo affatto i dialoghi in inglese senza una nota, non siamo tutti poliglotti e semmai uno deve imparare una nuova parola in italiano, non andarsi a cecare la traduzione di un intero dialogo, per giunta in in una lingua straniera.
Dopo questo piccolo libro però capisco perché piace a molti: è smielato fino all'inverosimile. Sarà che sono io poco romantica... 


Al sangue  (n.32) - é una storia piuttosto curiosa che mi è piaciuta molto: Matteo B. Bianchi fa parlare una ragazza in prima persona, si presume benestante, alle prese con una singolare creatura, che a prima visa sembra una normalissima barbona, ma in realtà è... uno zombie. E così inizia un suo tortuoso percorso verso la conoscenza di questa rara specie. 

E poi c'è Kosher Mafia (n.17) - di Luca di Fulvio. Due ebrei scampano ad una tragedia con le loro mogli e si trasferiscono negli Usa degli inizi del secolo scorso, credendo che Dio abbia voluto così per permettere loro di salvare i loro unici figli maschi di cui le mogli sono incinte.
More about Le regoleIn realtà, uno diventa un sindacalista ateo, l’altro un gangster della peggiore risma. Entrambi hanno un obiettivo: diventare dei nuovi americani, moderni. E lo diventeranno, incontrando la sorte peggiore. 



Ho apprezzato molto Le regole (n. 31), di Massimo Picozzi. Un inedito degno di un episodio di una serie di polizieschi statunitense. Fino alla fine il ritmo è veloce e la storia interessante, fino ad un colpo di scena piuttosto inaspettato. Si legge d’un fiato, non solo per le ridotte dimensioni, ma perché sembra davvero di essere al cinema: un ex negoziatore si ritrova improvvisamente ostaggio in una banca con uno psicopatico. Ripercorre brevemente la sua vita a ritroso e quando riesce a capire molte cose degli ultimi anni della sua vita, la verità lo colpisce come un guanto di ferro, ma anche come una vera e propria liberazione.
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Collana Inediti d'autore nn. 6, 14 e 30

In questa collana del Corriere della Sera i racconti sono tutti carini. Però alcuni non sono proprio delle opere d'arte. Prendiamo quattro inediti di donne.

More about L'amore del mondoL'amore del mondo, n. 6  - di Daria Bignardi. Tre punti di vista parlare di una donna che a 40 anni si ritrova con l’herpes, che ama la sua famiglia ma alla fin fine se ne è rotta le scatole. Che vorrebbe dedicarsi ai suoi “amici” carcerati ma poi smette di vistarli perché in fondo è troppo impegnativo (ma è una mia interpretazione). E’ vero, non ho capito niente di questo racconto. Questa donna non è proprio infelice, ma nemmeno felice e alla lunga la storia – per fortuna breve -  diventa noiosa. Sembra un racconto di quelli semplici che dovrebbero nascondere un significato più profondo, ma certe cose, o le sai portare alla luce o non lo sai fare. Non che sia scritto male, per carità. 
Un amore di marito, n. 14  - Sveva Casati Modignani in "Un amore di marito", racconta con un tono tragicomico di una donna che crede di aver scoperto che suo marito la tradisce e inizia a meditare vendetta, ma alla fine un imprevisto trasforma la classica storia di una donna non proprio bellissima che sacrifica tutto per l’amante bravo e bello, in un racconto simpatico a lieto fine.

More about L'attesa
L’attesa, n. 30  - Questo è il peggiore. Un’analisi psicologica molto arrangiata di una ragazzina grassa e ricca sfondata con una mamma snob e acida, un papà fedifrago che le fa promosse da marinaio che segneranno la sua vita. Un libro pieno di stereotipi.

Queste sono storie ordinarie, scritte bene, ma a cui manca quel tocco romanzato che fa di una storia vera, non dico un classico, ma una storia memorabile.

Un po’ diverso è il caso di Michela Murgia che, con L’incontro (n.26), narra uno spaccato di mondo e di una società alle prese con l'arrivo di una nuova parrocchia, attraverso gli occhi di un bambino. Michela Murgia mangia letteralmente il mondo, lo rigurgita con parole e metafore che schizzano come i colori su una tela impressionista. E’ il primo racconto di questa scrittrice che leggo e mi ha subito colpita.
More about L'incontroMi è piaciuta molto questa frase: Il ragazzo lo aveva applaudito forte ed era stato in quel momento che Maurizio aveva smesso di chiedersi cosa volesse dire “noi” a Crabas. Non era un pronome come negli altri posti, ma un tempo verbale collettivo: il presente plurale. 
 Una volta tanto non è ciò che si racconta quanto come lo si fa. 



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Collana Inediti d'autore n.28: Casimiro Roléx

More about Casimiro Roléx
"Casimiro Roléx" Franco Di Mare
 
Casimiro faticava a prendere sonno. Allora si girava e rigirava nel letto, litigava con cuscino e lenzuola e finiva per restare a guardare il soffitto al buio, a masticare pensieri. (…) Lui era uno che aveva fatto bene i conti ed era sceso a patti con la realtà. Si era adattato. Faceva lo scippatore, e questo era quanto. Non stava né di qua, né di là. Né con i signori, né coi camorristi.
Casimiro detto Roléx è un ladruncolo con un occhio speciale ai Rolex. Ha una moglie bellissima, una figlia che frequenta l’asilo nido privato del quartiere, un padre in carcere per un presunto “errore giudiziario” che ha sempre una frase (fatta) adatta alle circostanze, un collega/spalla/autista, Gennarino, un tipo pratico e di poche parole.
Prima e dopo gli scippi, il protagonista litiga mentalmente con le sue vittime, ree di non farsi scippare tranquillamente senza opporre resistenza.
Il racconto si districa fra le avventure e sventure di Casimiro, un povero cristo in fondo, che non ha molta voglia di cambiare strada e che, come un qualsiasi operaio, si sente un precario. Tuttavia, senza cercare significati reconditi, Franco Di Mare ci racconta della ordinaria vita di un delinquente e la fine è amara, arriva sottoforma di una quasi giustizia divina che, se Casimiro non fosse così simpatico, verrebbe da dire meritata.
mercoledì 28 settembre 2011 0 commenti

Natale al bar

Ore 10.30 ca.
Cliente: vestito di tutto punto, capello corto tagliato con precisione millimetrica, baffetto curato, cravatta stile: “solo per oggi che è Natale!”.
Barman: desideroso di andare a casa.
CLIENTE: <<Buon giorno>>
BARMAN: <<Salve, Buon Natale!>>
CLIENTE: <<Grazie…senta: per caso sa dove posso trovare un alimentari aperto?>>
BARMAN: <<…Oggi è tutto chiuso!>>
CLIENTE: <<Ma qua vicino, o anche nei paesi vicini…un alimentari o un piccolo supermercato…>>
BARMAN: <<Ma oggi è Natale!>>
CLIENTE: <<Sì, ma che c’entra: oggi è martedì, mica domenica!>>
BARMAN: <<….>>
CLIENTE: <<Vabbè và, la ringrazio lo stesso. Arrivederci.>>
BARMAN: <<A presto…E auguri!!!>>
Ore 16.30
Cliente
: Giovane sorridente, tuta nera a strisce gialle. Capelli dritti. Viso rassicurante.
Barman
: Sempre desideroso di tornarsene a casa, stavolta per digerire la coscia di tacchino ingurgitata di gran prescia a pranzo.

CLIENTE: <<Ciao, scusa…>>
BARMAN: <<Ciao!Auguri!>>
CLIENTE: <<Grazie…e…Auguri anche a te!>>
BARMAN: <<Dimmi!>>
CLIENTE: <<Per caso vendete pile? >>
BARMAN(espressione colpevole): <<Noooo…>>
CLIENTE: <<Ah…>>
BARMAN: <<Mi spiace…>> (bugiardo!!!)
CLIENTE: <<E non è che per caso sapete se c’è un qualche negozio aperto…>>
BARMAN: <<Veramente no, oggi no.>>
CLIENTE: <<…nei dintorni…>>
BARMAN: <<Anche l’Auchan è chiuso.>>
CLIENTE: <<Ah, anche l’Auchan, eh?>>
BARMAN: <<Già!>>
CLIENTE: <<….>>
BARMAN: <<Oggi è Natale..>>
CLIENTE: <<Oggi è Natale…>>
BARMAN: <<Già!>>
CLIENTE: <<Va bene, grazie lo stesso. Ciao!>>
BARMAN: <<Ciao! Auguri!!>>
Barman: OK, ora possiamo anche ridere e chiederci se c’è qualcosa (in noi) che non va!
Ps: queste cose succedono davvero!!!!!
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Un Africano a New York

Uzodinma Iweala
"L'Africa non vuole essere salvata. Vuole, invece, avere la possibilità di partecipare in modo serio ed equo agli investimenti di altri membri dlla comunità globale, per tirare fuori il proprio enorme potenziale di crescita."

Uzodinma Iweala, attivista e scienziato, iscritto alla facoltà di Medicina della Columbia Universty e autore di "Bestie senza una patria" ha centrato il punto centrale dellac risi africana odierna, la chiave di volta per la svolta. 26 anni, un passaporto americano e uno nigeriano, figlio di Ikeamba Iweala, chirurgo che lavora a Washington DC e di Ng
ozi Okonj o-Iweala,(...) che ha studiato ad Harvard e al Mit ed è stata ministro dell'Economia della Nigeria, (...), Uzo ha una sorellla e due fratelli ad Harvard. (...) Ha lavorato come volontario in un campo profughi dell'Africa Occidentale, ha collaborato a progetti del calibro di Jeffrey Sachs, suona jazz al sassofono e al pianoforte...Del suo libro Salman Rushdie ha detto: <<E' una di quelle rare occasImmagine di Bestie senza una patriaioni in cui vedi un primo romanzo e pensi: questo ragazzo diventerà molto, molto bravo>>.

Leggerò presto il romanzo, ma comunque, le cose dette nell'intervista a VENTIQUATTRO,mi sono sembrate intelligenti. Vi farò sapere!
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Kirah

KIRAH significa goccia d’acqua fredda nella lingua katch.
Kirah era venuta al mondo proprio mentre cadeva la prima goccia di quello che sarebbe stato un violentissimo temporale, durato dieci giorni e dieci notti. Si narra che quella pioggia fosse stata inviata dai cinque Saggi del Monte Nebula, per staccare l’Isola del Pianto dalla Terra di Nebula. Quell’isola, abitata da mostruose fiere e da uccelli variopinti, era circondata da alberi sempreverdi, ed il suo colle più alto ospitava un lago perfettamente circolare, nelle cui acque si diceva abitassero le anime dei morti della Terra di Nebula. Nessuna carta geografica può stabilire con chiarezza ove si trovi oggi quell’Isola, ma molti insistono nel ritenere che essa sia stata spinta al centro del nostro pianeta.
Quella pioggia violenta, accompagnata da furiosi tuoni e lampi non ebbe tuttavia il potere di far tacere le grida delle fiere, i cui occhi gialli splendevano di una luce inquieta, l’unico bagliore in quell’atmosfera cupa. A Nebula nessuno sapeva cosa stesse succedendo, né avrebbero potuto immaginarlo. Nessuno infatti si era mai avvicinato all’imponente ponte che univa la Terra all’Isola, poiché era severamente proibito dalla legge. Quella sera poi, nella piazza principale, tutto il popolo katch festeggiava la nascita di Harikh, la prima bambina nata a Nebula da vent’anni a quella parte.
Kirah era una ragazzina tranquilla, nera come l’ebano, con lunghi capelli lisci e morbidi, castana. Era minuta, graziosa, e al posto degli occhi aveva due grandi perle verdi, con lunghe e folte ciglia. Kirah era un angelo nero, la cui grazia esercitava un fascino muto sulle belve di quella terra abbandonata: esse non l’aggredirono mai, né gli uccelli pensarono mai di tirarle la spessa chioma.  
Nei tranquilli dieci anni di vita Kirah vide solo una donna, Nefeli, sua madre.
Nefeli era stata mandata in esilio sull’Isola del Pianto e là aveva dato alla luce la sua seconda bambina, gridando di disperazione per la paura ed il dolore, per la solitudine. Lei era l’unica, forse, a conoscere il significato di quella prima goccia che bagnava l’arida terra di Isodepi sapeva di esserne la causa. E sapeva che quello era solo l’inizio di una lunga e faticosa salita.
Kirah cresceva in fretta, era agile e taciturna, riflessiva fino all’eccesso, saggia come pochi adulti. 
Il giorno del suo decimo compleanno era stranamente inquieta. Sua madre la svegliò all’alba e la condusse al Lago del Pianto. Il cammino era lungo e tortuoso, si doveva stare attenti ai tanti massi sporgenti e alle fiere che, si direbbe fossero curiosi, le seguivano passo passo.
Giunte sul lago, il cui bordo era delimitato da una lastra di marmo, come se fosse una vecchia vasca da bagno, la donna si sporse un poco sul ciglio asciutto e polveroso e guardò le acque scure del lago. La leggenda katch vuole che le lacrime dei morti- di gioia e di dolore- siano contenute in quell’enorme vasca magica che è destinata a non svuotarsi mai. La donna prese il pugnale che aveva nella sacca, lo fissò per un istante, poi lo bagnò nelle acque violacee del lago e, con immenso orrore della bambina, si tagliò il petto e tirò fuori il suo cuore. I suoi occhi piansero sangue, ma non una parola le uscì dalle labbra. Prese una sacchetta di pelle, che la piccola le aveva donato, e vi depose il cuore. Poi tagliò una ciocca dei propri capelli neri, e li aggiunse al proprio organo. Un forte odore di sangue fresco impregnò l’aria ma le due parvero non farci caso. La mente di Kirah era improvvisamente pesante, mentre osservava i gesti di sua madre. Era mai possibile che non provasse dolore…? E perché stava cercando di uccidersi?
La donna si toccò il petto, e contornò gli occhi di sua figlia di rosso. Poi, consegnatale la sacchetta, la strinse a se e, senza proferire parola, si buttò nel lago.
Kirah pensò di morire in quel istante, un dolore lancinante sembrò squarciarle la mente e cadde a terra, svenuta.
Si sarebbe svegliata solo dieci anni dopo.
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Giobbe

Immagine di GiobbeHo letto questo libro ed ho pianto. "Giobbe" é il primo libro di Joseph Roth che leggo, il primo che mi abbia suscitato una tale emozione ed un tale coinvolgimento, quasi fossi parte della famiglia del protagonista, Mendel Singer. Mendel è un ebreo ortodosso timorato di Dio e perseguitato dal dolore e la sfortuna che vive attraverso le vicissitudini dei suoi quattro figli: tre maschi di cui un bambino epilettico, ed una femmina. Agli albori della Grande Guerra, Dio lo metterà duramente alla prova, e proprio quando la sua vita avrà perso il senso, e quando la rabbia lo avrà consumato al punto di dargli la forza di provare un disperato ultimo tentativo di riscatto, ecco il miracolo. E Dio avrà pietà di Mendel singer. Ma soprattutto, lo ripagherà di tanto umile rispetto, di tanta devozione. Uno scorcio di una vita fra Zuchnov, prima russa e poi, dopo la guerra, polacca, e l'America, simbolo di prosperità per tutti e culmine delle disgrazie per il nostro Mendel. Ma la fede rende forti nella vita, anche quando si ha smesso di credere. "Giobbe" riprende la storia biblica, ma è molto di più di questo. Svela un ebraismo forte, consapevole, parla di una fede che ci pare quasi sconosciuta, lontana, abituati come siamo a trovare conforto nella scienza, la medicina, la tecnologia, i vizi. Ma è soprattutto un album fotografico: Roth racconta una vita con semplicità. Sa soffermarsi sui particolari e renderli vividi all'immaginazione con poche parole, quelle giuste, quelle necessarie, senza abbondare e girarci intorno. E sa leggere nei pensieri e nell'animo di queste persone. Ho letto che ha scritto, fra gli altri, "La marcia di Radetzky": sicuramente non mancherò di leggerlo, per riassaporare ancora la penna di un così capace, essenziale, eppure veritiero fino alla commozione.
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Constance, Emma e il sesso

Immagine di L'amante di Lady Chatterley” -Le altre? Non ce ne sono. Soltanto, credo per esperienza che la maggior parte delle donne siano così: vogliono un uomo ma non vogliono l'amore sessuale; vi si rassegnano come a un male inevitabile. Quelle che sono più fuori moda se ne stanno distese, inerti, e lasciano fare. Non ci trovano a ridire, e poi ti vogliono bene.
Ma la cosa in sè non è nulla per loro, soltanto un po' ripugnante. E la maggior parte degli uomini ne sono soddisfatti. Io ne ho orrore. Ma le donne scaltre, fatte a quel modo, fingono di essere diverse. Simulano di essere piene di passione, di provare grandi brividi. Ma è una commedia. Poi ci sono quelle che amano tutto, tutte le sensazioni, tutti i godimenti, eccetto quello naturale. Fanno sempre godere quando non si è dove si dovrebbe essere per godere. Poi ci sono le dure, che occorre il diavolo per farle godere, e godono da sole, come mia moglie. Vogliono essere la parte attiva. E quelle che sono morte di dentro, del tutto morte; e lo sanno. E quelle che ti fanno uscir l'uomo prima che abbia realmente goduto, e continuano a contorcere le reni finché godono contro le sue cosce. Ma quelle sono soprattutto le lesbiche. E' straordinario quante donne siano lesbiche, consapevolmente o no. Mi sembra che siano quasi tutte lesbiche.”
(da: L'AMANTE DI LADY CHATTERLEY di David Herbert Lawrence, 1928)

Censurato nella Gran Bretagna vittoriana, è stato forse tra i primi romanzi erotico della letteratura contemporanea. Mi chiedo se le donne siano ancora così. Se Lawrence fosse un ottimo fotografo dei suoi tempi.
Questo libro mi è parso un po’ un pamphlet sul sesso con il pretesto del romanzo, una sequela di filosofie e ragionamenti sul sesso e sull’eterno scontro fra borghesi, nobili e miserabili alla ricerca di un’ascesa sociale.
Leggere ora questo libro può far sorridere, di spinto c’è ben poco, soprattutto nelle descrizioni degli amplessi di Constance “Connie” Reid Chatterley. Ma alcuni passaggi danno da pensare.
Al di là di questo, Lawrence non ha la penna di Flaubert, anche se ha tirato fuori un interessante personaggio, un uomo tenero ma spigoloso come Mellors, appunto, l’amante della nostra Connie. Fino al tredicesimo capitolo c’è qualcosa di irritantemente attuale nelle elucubrazioni mentali di quella donna che tuttavia non arrivano minimamente a quella rompiscatole di Emma Bovary, piena di amanti e troppo incline all’innamoramento da romanzo. Poi finalmente, Connie scopre che può godere con l’uomo che ama e finalmente si da una smossa. Anche qua: si può godere anche se non si ama un uomo? Ci si può lasciare andare con intensità tale da non stare lì stese come tavole? Si può desiderare un uomo solo intellettualmente, senza voler instaurare un rapporto fisico, o arrivare a voler far sesso solo perché si vuole un uomo accanto?Mi sa che Lawrence ci abbia azzeccato, e che in fondo, le donne(con il punto G imboscato) e gli uomini(dall’orgasmo facile) siano sempre uguali.
Si dice sempre che un uomo sia capace di rompere senza indugi quando si scoccia. Una donna no. Si trascina nelle false apparenze, tra amanti e amori fasulli, e si consuma in sospiri e fantasticherie.
E’ così? O esistono donne capaci di calcolo, di capire quando è ora di sganciarsi? Di prendere il sesso per ciò che è: un’alchimia di sensazioni e pulsazioni?
Quando leggo questo tipo di romanzi, non posso che essere solidale con gli amanti spezzacuore. Perché ci sono donne che non si rassegnano all’evidenza, ho amiche disinvolte, sessualmente parlando, che poi però si perdono davanti a uomini che dicono loro chiaramente: non ti voglio, non ti darò ciò che vuoi emotivamente.
Alla fine più antipatico di tutti è solo sir Clifford, che è la versione sacrificale maschile di Emma Bovary. Per fortuna questo libro, che comunque è piacevole anche se poteva venire più breve, finisce prima.
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La frase 1

QUANDO CI SI DEDICA ALLA NARRATIVA IL DIFFICILE E’ LIBERARSI DAL PUDORE CHE SI PROVA A INVERNTARSI DELLE STORIE.
Gian Antonio Stella.
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Tre spilli

Tre spilli. Era sicuro che gli avessero infilato tre spilli nel cervello. Tre spilli molto sottili, di ferro e molto lunghi, che gli bucavano il cranio e gli si infilavano nella cornea, fino ad arrivare alla narice destra. Si alzò velocemente. Troppo a dire il vero: rotolò rapidamente dal divano al pavimento sporco, prima ancora di poter formulare un altro pensiero.  Il suo naso cominciò a sanguinare copiosamente. Decise di aprire gli occhi molto lentamente, schermandoseli con le mani screpolate. Cercò di rimettere a posto le ossa della schiena stendendosi sul pavimento. Era particolamente duro considerò, sorpreso. Dopo qualche istante volle rischiare e guardarsi intorno senza alcuna protezione, sfidando la luce del giorno. Da quella posizione non poteva vedere niente, se non il cielo, e nache questo era strano. Si sollevò a fatica, facendo leva sul braccio meno dolorante e  si sentì morire non appena i suoi occhi si posarono sullo scenario che aveva davanti.
Era tutto nero, come raso al suolo da fiamme che non ricordava di aver visto. Credette fosse colpa di quegli spilli che continuavano a torturargli la testa…dopo il capitombolo aveva sentito le labbra scoppiare. Un dente aveva tagliato il labbro ed il naso aveva colpito il pavimento in modo violento. Ripensò al Glenn Grant della sera prima e si leccò le labbra, gemendo per il dolore ed il disgustoso sapore del dopo sbornia. Se avesse rivolto la parola a qualcuno lo avrebbero arrestato per omicidio! Ebbe paura del suo alito e si alzò, a fatica, per lavarsi i denti, ammesso che avesse trovato lo spazzolino nel casino della sua roulotte.

Non esisteva nessuna roulotte. Non esistavano le mura, né il fornello, né la porta. Non esistevano il lavello o i piatti, non  esistevano le finestre, né il bagno, tantomeno lo spazzolino da denti. Non esisteva più niente. Allora non era colpa di Glenn…non si trattava di allucinazioni. Era davvero andato tutto a fuoco! Venne percorso da un brivido ed ebbe paura. Cosa aveva fatto? Forse aveva lasciato il gas aperto e magari aveva lasciato accesa una sigaretta. Che diavolo andava a pensare!Lui non fumava!Ma come lo avrebbe spiegato ai poliziotti? E come mai sembrava che per miglia tutto fosse distrutto?
La sua attenzione venne improvvisamente catturata da un fagotto scuro in un angolo, adagiato sul quello che una volta - molto tempo prima - era stato un grosso guanciale bianco e lindo.
“Hey tu!Che diavolo ci fai sul mio cuscino?” Scosse un groviglio di tessuti e tutto ciò che ne ricavo fu una specie di guaito. La sua irritazione si trasformò in terrore: un cane! Nella sua roulotte! Cercò di formulare un pensiero intelligente in breve tempo ma gli spilli sembravano non dargli tregua e anzi, si spostavano da una mascella all’altra, da un estremo all’altro della testa. Con quel deserto di cenere non si sarebbe potuo nascondere da nessuna parte. Ecco, lo sapeva, sapeva che era destinato a fare quella fine: un cane lo avrebbe ucciso e magari spartito con un branco di suoi pari. Non appena vide qualcosa muoversi cadde in ginocchio e cominciò a piangere: forse l’animale si sarebbe impietosito. Invece il gomitolo di allargò, svelando un maglione di lana scura e da un buco piuttosto grande uscì la testa di un bambino mulatto, all’apparenza calvo.
“E tu chi cavolo sei?” Strillò l’uomo, ormai esagitato. “Che ci fai qui? Chi ti manda? Sparisci o ti caccio a calci! Ho detto vattene!” riprese, vedendo che il bambino non voleva abbandonare il suo nascondiglio di lana. “Dannazione!”. Poteva essere dei servizi segreti, magari uno di quei nani che sembrano bambini ma poi lavorano per la polizia…Il mal di testa cominciava a dargli tregua, notò. Si sedette sull’unica cosa rimasta intatta. Strano che non fosse andato a fuoco con tutto il divano.
“Ho sete” mormorò finalmente il piccolino.
“Beh, sei cieco o cosa? Non vedi che non c’è più niente? Nemmeno un frigorifero!” Non che lui ne avesse mai avuto uno, in quella bettola senza luce che chiamava casa.
“Lì c’è una fontanella”. Il bambino parlò di nuovo, indicando qualcosa nel mucchio di rottami.
“Si certo, come no! Una font…” Seguì la direzione del dito puntato del ragazzino e si incamminò, suscitando l’ilarità del piccolo, divertito dal buffo incedere dell’uomo.
“Sì, ridi, ridi” borbottò l’adulto, lanciandogli delle truci occhiatacce. “E io che avevo pensato ad un cane…”

Si lavò il volto e si sciacquò la bocca alla bell’e meglio, e bevve grandi sorsate d’acqua, poi, infastidito dalle continue richieste del bambino, strillò: “Ma perché diavolo non te la vieni a prendere tu l’acqua!Sei proprio un rompiscatole!” Tornò indietro, afferrò la bottiglia di liquore che si era scolato la sera prima tutto d’un fiato, la riempì e la svuotò più volte con l’acqua, quando gli parve che puzzava di meno, almeno per i gusti di un bambino, la colmò fino all’orlo, e la portò al suo sgradito ospite, che la bevve avidamente. “Cosa facciamo?” chiese.
“Cosa facciamo? Beh, ti dico cosa farai tu: ti levi dai piedi e mi lasci in pace”.
“Non vorrai rimanere qui!”
“Sono fatti miei!Non ho nessuna voglia di rovinarmi l’esistenza con un impiastro come te.”
“Guarda che lo so che significa impiastro!” gli gridò di rimando il bambino, assumendo un’espressione indignata.
“Tanto meglio!”
“Non si devono avere pregiudizi verso chi non si conosce, la tua mamma non te lo ha detto?”
“Hey, hey, ma chi diavolo sei tu? Marthin Luther King in un bicchiere di scotch?Te ne vai o no?”
“No!”
“Bene, allora me ne vado io!”
“E…e…mi lasci qui?”
“Sì!”
“Da solo?”
“Vedi qualcun altro qua?”
“Ma questo è ingiusto!Non puoi lasciarmi da solo qui!”
“Ingiusto? Ingiusto?!Ti sei finto un cane per farmi venire un infarto, hai bruciato la mia casa, e sicuramente sei una spia – perché un vero bambino normale non parla così –, da tre ore non fai altro che darmi fastidio e io sono ingiusto? Sai che ti dico Malcom X?Sai che ti dico…?” Non riuscì a partorire alcuna frase ad effetto perciò concluse con l’unica imprecazione che sembrava conoscere: “Al diavolo!”
Si lasciò cadere sul divano e si addormentò di colpo.
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Fumo

Hai passato gli ultimi anni dopo l'adolescenza a ricordare un passato sfumato, cercando di tenerlo in vita. Ti ci sei aggrappato, hai immaginato come sarebbe stato rivedervi, salutarvi, raccontarvi...E poi lo vedi. E ti accorgi che i vostri occhi si riflettono, ma nei suoi c'è il vuoto. E presto, quel vuoto entra nel tuo sguardo. Hai sognato e sperato da sola. Il passato è morto. Molto tempo fa.
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Sarah Jinette

Erano passati due anni dalla morte di Alice Warestone Jinette. Due anni difficili. Tutti ne sentivano ancora la mancanza. Ogni sera la piccola Sarah si affacciava alla finestra del tinello, guardava il cielo e mandava un bacio con la mano alla madre lontana. Un bacio “con lo schiocco”, come le piaceva tanto. Si era persuasa che non sarebbe più tornata ma in fondo al cuore continuava a sperare il contrario. Suo padre aveva ricominciato a sorridere, ma non usciva quasi mai se non per fare le commissioni o per andare a lavorare; la sera le leggeva le favole, o andavano tutti e cinque a passeggiare per i prati e suo padre narrava loro tanti aneddoti sulla storia della propria famiglia o sulla  Francia.
Da un anno aveva iscritto sua figlia alla scuola materna: si divertiva lì, c’erano tante bambine con cui giocare; con una in particolare, Elenoire, aveva stretto una grande amicizia. Lei era chiacchierona e paffutella, con tanti capelli ricci e rossi. Abitavano vicini per fortuna: non riuscivano a staccarsi l’una dall’altra, erano come sorelle. Era quello che le ci voleva dato che viveva tra soli uomini! Gradualmente, dietro insistenza di sua figlia, Etienne conobbe i genitori di Elenoire, i Fabreux, una coppia molto affiatata e allegra che trattavano la propria bambina come un diamante poiché non potevano averne altri.
-Ci sarebbe piaciuta una famiglia allargata come la tua, ma purtroppo ho subito un intervento dopo il parto di Elenoire- gli disse Matilde Fabreux mentre sorseggiavano un tè fresco nella sua modesta cucina.- l’intervento mi ha salvato la vita ma non potremo avere altri figli. Anche se… immagino non sia facile per te, ora.- Gli sorrise con simpatia. Etienne ricambiò il sorriso e tentò di scherzare:
-No, non lo è, ma ti posso assicurare che con tre maschi e una femmina in casa a volte vorrei concedermi..come dire?una bella vacanza!-
-Bene, - aggiunse Bernard Fabreux, ridendo - mi sembra che le nostre due bambine siano molto affiatate…
-Già, -rispose Jinette, - sono felice, credo abbiano bisogno entrambe di un’amica della loro età. Io ho una sorta di ranch, che ne dite di venire da me un fine settimana di questi?Potremmo fare una grigliata, e le bambine starebbero insieme. E vi presenterei la mia famiglia.
-Volentieri!Facciamo questo sabato?
Intanto, nel coloratissimo salone pieno di quadri e luci, Elenoire e Sarah guardavano la televisione. C’erano due bellissime ballerine che volteggiavano su un palco scuro, i capelli fermamente legati come una cipolla sulla loro testa, avevano ai piedi scarpe legate con un nastro bianco lucidissimo, e avanzavano sulle punte mentre il tulle fluttuava leggero nell’aria. Le due bambine erano come rapite da quello spettacolo, e quella musica, così delicata, con quelle note dolci e trascinanti… era come sognare ad occhi aperti…
-Sarah! Elenoire! Dove siete?
Matilde le stava chiamando, preoccupata perché non le sentiva ma non le risposero. Erano affascinate da quanto vedevano e non sentivano altro che la musica.
-Sarah!...Elen…. ah, ma siete qui!, perché non rispondete?
-Mamma, - rispose finalmente sua figlia, -  stiamo guardando quelle farfalle…guarda come sono belle…
-Ma tesoro, - replicò sgomenta la donna, che vedeva sullo schermo solo due magrissime ballerine che saltavano da un punto all’altro dal palcoscenico, - sono delle ballerine non…
-Sì ma sembrano farfalle sorridenti signora Fabreux – Sarah le sorrise, si alzò dal pavimento e corse da suo padre –Papà! Papà!
-Perché gridi, Sarah! Cos’è successo?!
-Papà, voglio diventare una ballerina! Una brava ballerina!
Etienne guardò Bernard con aria perplessa e questi si strinse nelle spalle. La bambina agitava i capelli e tutto il corpo con tante giravolte, cercando di ripetere ciò che aveva visto poco prima. Era come posseduta, non si riusciva a fermarla.
-Sarah, smettila!Cos’è questa storia della ballerina?Fermati o ce ne andiamo!
-Papà, ho deciso che farò la ballerina da grande, come quelle in tivvvùùùùùùùùù!
Si mise a correre, urlando per la gioia. Era fatta così Sarah, si entusiasmava subito…
Il suo amico cercò di rincuorarlo -Non ti preoccupare, vedrai che entro domattina si sarà scordata tutto, anche Elenoire è così, vuole tutto ciò che vede ma poi si stufa subito o se ne scorda per fortuna!
Una settimana dopo Etienne stava varcando la soglia di una scuola di danza, reggendo per mano un piccolo diavolo dagli occhi verdi. Non era convinto che fosse una buona idea ma la bambina non aveva fatto che parlare di danza, cercando di disegnare ballerine ogni quando le era possibile, a scuola, dalla nonna, in casa. Non disturbava più neppure i gemelli Jean e François affinché le preparassero il pane con la cioccolata o giocassero con lei. Non mangiava più neanche i dolci della nonna!
Al termine della settimana, dopo cena, andò da suo padre che stava leggendo il giornale sulla veranda, il luogo che preferiva, e gli chiese, molto semplicemente: -Papà, non riesco più a fare la bravissima e a non mangiare la torta della nonna…Mi porti alla scuola della danza?
Suo padre non poté far altro che scoppiare a ridere e dire: -Ma certo, tesoro!
 
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