mercoledì 28 settembre 2011

Tre spilli

Tre spilli. Era sicuro che gli avessero infilato tre spilli nel cervello. Tre spilli molto sottili, di ferro e molto lunghi, che gli bucavano il cranio e gli si infilavano nella cornea, fino ad arrivare alla narice destra. Si alzò velocemente. Troppo a dire il vero: rotolò rapidamente dal divano al pavimento sporco, prima ancora di poter formulare un altro pensiero.  Il suo naso cominciò a sanguinare copiosamente. Decise di aprire gli occhi molto lentamente, schermandoseli con le mani screpolate. Cercò di rimettere a posto le ossa della schiena stendendosi sul pavimento. Era particolamente duro considerò, sorpreso. Dopo qualche istante volle rischiare e guardarsi intorno senza alcuna protezione, sfidando la luce del giorno. Da quella posizione non poteva vedere niente, se non il cielo, e nache questo era strano. Si sollevò a fatica, facendo leva sul braccio meno dolorante e  si sentì morire non appena i suoi occhi si posarono sullo scenario che aveva davanti.
Era tutto nero, come raso al suolo da fiamme che non ricordava di aver visto. Credette fosse colpa di quegli spilli che continuavano a torturargli la testa…dopo il capitombolo aveva sentito le labbra scoppiare. Un dente aveva tagliato il labbro ed il naso aveva colpito il pavimento in modo violento. Ripensò al Glenn Grant della sera prima e si leccò le labbra, gemendo per il dolore ed il disgustoso sapore del dopo sbornia. Se avesse rivolto la parola a qualcuno lo avrebbero arrestato per omicidio! Ebbe paura del suo alito e si alzò, a fatica, per lavarsi i denti, ammesso che avesse trovato lo spazzolino nel casino della sua roulotte.

Non esisteva nessuna roulotte. Non esistavano le mura, né il fornello, né la porta. Non esistevano il lavello o i piatti, non  esistevano le finestre, né il bagno, tantomeno lo spazzolino da denti. Non esisteva più niente. Allora non era colpa di Glenn…non si trattava di allucinazioni. Era davvero andato tutto a fuoco! Venne percorso da un brivido ed ebbe paura. Cosa aveva fatto? Forse aveva lasciato il gas aperto e magari aveva lasciato accesa una sigaretta. Che diavolo andava a pensare!Lui non fumava!Ma come lo avrebbe spiegato ai poliziotti? E come mai sembrava che per miglia tutto fosse distrutto?
La sua attenzione venne improvvisamente catturata da un fagotto scuro in un angolo, adagiato sul quello che una volta - molto tempo prima - era stato un grosso guanciale bianco e lindo.
“Hey tu!Che diavolo ci fai sul mio cuscino?” Scosse un groviglio di tessuti e tutto ciò che ne ricavo fu una specie di guaito. La sua irritazione si trasformò in terrore: un cane! Nella sua roulotte! Cercò di formulare un pensiero intelligente in breve tempo ma gli spilli sembravano non dargli tregua e anzi, si spostavano da una mascella all’altra, da un estremo all’altro della testa. Con quel deserto di cenere non si sarebbe potuo nascondere da nessuna parte. Ecco, lo sapeva, sapeva che era destinato a fare quella fine: un cane lo avrebbe ucciso e magari spartito con un branco di suoi pari. Non appena vide qualcosa muoversi cadde in ginocchio e cominciò a piangere: forse l’animale si sarebbe impietosito. Invece il gomitolo di allargò, svelando un maglione di lana scura e da un buco piuttosto grande uscì la testa di un bambino mulatto, all’apparenza calvo.
“E tu chi cavolo sei?” Strillò l’uomo, ormai esagitato. “Che ci fai qui? Chi ti manda? Sparisci o ti caccio a calci! Ho detto vattene!” riprese, vedendo che il bambino non voleva abbandonare il suo nascondiglio di lana. “Dannazione!”. Poteva essere dei servizi segreti, magari uno di quei nani che sembrano bambini ma poi lavorano per la polizia…Il mal di testa cominciava a dargli tregua, notò. Si sedette sull’unica cosa rimasta intatta. Strano che non fosse andato a fuoco con tutto il divano.
“Ho sete” mormorò finalmente il piccolino.
“Beh, sei cieco o cosa? Non vedi che non c’è più niente? Nemmeno un frigorifero!” Non che lui ne avesse mai avuto uno, in quella bettola senza luce che chiamava casa.
“Lì c’è una fontanella”. Il bambino parlò di nuovo, indicando qualcosa nel mucchio di rottami.
“Si certo, come no! Una font…” Seguì la direzione del dito puntato del ragazzino e si incamminò, suscitando l’ilarità del piccolo, divertito dal buffo incedere dell’uomo.
“Sì, ridi, ridi” borbottò l’adulto, lanciandogli delle truci occhiatacce. “E io che avevo pensato ad un cane…”

Si lavò il volto e si sciacquò la bocca alla bell’e meglio, e bevve grandi sorsate d’acqua, poi, infastidito dalle continue richieste del bambino, strillò: “Ma perché diavolo non te la vieni a prendere tu l’acqua!Sei proprio un rompiscatole!” Tornò indietro, afferrò la bottiglia di liquore che si era scolato la sera prima tutto d’un fiato, la riempì e la svuotò più volte con l’acqua, quando gli parve che puzzava di meno, almeno per i gusti di un bambino, la colmò fino all’orlo, e la portò al suo sgradito ospite, che la bevve avidamente. “Cosa facciamo?” chiese.
“Cosa facciamo? Beh, ti dico cosa farai tu: ti levi dai piedi e mi lasci in pace”.
“Non vorrai rimanere qui!”
“Sono fatti miei!Non ho nessuna voglia di rovinarmi l’esistenza con un impiastro come te.”
“Guarda che lo so che significa impiastro!” gli gridò di rimando il bambino, assumendo un’espressione indignata.
“Tanto meglio!”
“Non si devono avere pregiudizi verso chi non si conosce, la tua mamma non te lo ha detto?”
“Hey, hey, ma chi diavolo sei tu? Marthin Luther King in un bicchiere di scotch?Te ne vai o no?”
“No!”
“Bene, allora me ne vado io!”
“E…e…mi lasci qui?”
“Sì!”
“Da solo?”
“Vedi qualcun altro qua?”
“Ma questo è ingiusto!Non puoi lasciarmi da solo qui!”
“Ingiusto? Ingiusto?!Ti sei finto un cane per farmi venire un infarto, hai bruciato la mia casa, e sicuramente sei una spia – perché un vero bambino normale non parla così –, da tre ore non fai altro che darmi fastidio e io sono ingiusto? Sai che ti dico Malcom X?Sai che ti dico…?” Non riuscì a partorire alcuna frase ad effetto perciò concluse con l’unica imprecazione che sembrava conoscere: “Al diavolo!”
Si lasciò cadere sul divano e si addormentò di colpo.

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